Io dopo 13 anni con ubuntu e 4 con debian sto migrando a Fedora 31. A parte anaconda (l’installer di Fedora) che è alquanto osceno (mi ha bloccato root pur avendolo sbloccato, e mi ha costretto a creare una partizione di boot non btrfs) mi sembra fatta molto meglio a livello di organizzazione dei repository.
Il motivo della mia migrazione è dovuta agli snaps (e ad altre cose che non sto qui a elencare): ho visto che su Ubuntu 20.04 hanno cominciato a mettere gnome-calculator e gnome-logs in forma di snaps! Ovviamente è solo un test su strada, ma da quello che ho capito io leggendo il forum ufficiale su ubuntu.com, sembra che vogliano ridurre i pacchetti deb al minimo per spianare la strada a snapcraft, che nei loro sogni diventerà il Google Play di linux.
Questo si scontra con i miei principi:
principio n.0: devo poter avere un facile accesso ai sorgenti dei software. Perchè voglio poter eseguire “dnf download --source nomepacchetto”, debuggarlo, fixarlo e committarlo agli autori. Con gli snaps contribuire è un pain in the ass. Non si capisce neppure dove sono e se ci sono.
principio n.1: ci hanno già provato in varie epoche a vendere software closed proprietario ai linuxiani, ma è come vendere i frigoriferi agli eschimesi. Io stesso, quando vedo programmi anche utili ma a pagamento, penso sempre che prima o poi la chiave di attivazione non funzionerà più (come mi era già successo in passato con programmi su windows) e che se qualcosa non funziona quel problema resterà lì. Su linux ho visto invece resuscitare progetti oramai dati per spacciati, tipo kdenlive. Una volta era un colabrodo, oggi (a distanza di decenni) è addirittura diventato piuttosto stabile. Se lo dicessi al mio io di 10 anni fa non ci crederebbe.
principio n.2: snappare (o flatpakkare) riduce le prestazioni del sistema e aumenta il consumo di ram inutilmente.
principio n.3: gli snap (ma anche i flatpak) danno solo “l’illusione” della sicurezza. Tutto il parco software di linux (che sono più di 30’000 progetti software) non è nato in questi ultimi anni e non è stato pensato per essere containerizzato. Quelli di Canonical non ci riusciranno mai a convincere tutti questi team ad adattare i loro software per la containerizzazione. Alla fine gli snaps devono necessariamente dare alle applicazioni i permessi massimi sul filesystem e sulle risorse, se no andranno in crash.
Quindi non c’è una reale differenza tra usare un’applicazione portabile classica e una containerizzata.
principio n.4: io sono decenni che mi facevo un mirror locale dei repository di debian e ubuntu (con debmirror). Debian l’ho mollata perchè avevo scoperto che è vietato mirrorare i pacchetti di sicurezza. Ancora oggi li distribuiscono con dei VPS loro (del Debian Project) e se provi a mirrorarli ti riducono la banda e poi ti bannano l’IP. Cosa ci sarà di così misterioso e sacro dentro a questi bugfix? Nel 2006 sono quindi migrato a Ubuntu perchè i pacchetti di sicurezza venivano distribuiti assieme agli altri, e quindi non c’erano restrizioni a mirrorarli. Oggi, però, Canonical vuole ridurre al minimo i deb per trasformare Ubuntu in Android e Snapcraft in Google Play.
Ho già mirrorato Fedora 31 e la sto provando (completamente offline) sulla mia macchina secondaria. E’ ottimissima. Si vede che non è una distro raffazzonata e non è neanche più difficile da imparare delle altre. Ho poi apprezzato che ci sono un po’ tutti i pacchetti che avevo su Ubuntu (tranne zita-mu1, ma quello è praticamente un’esclusiva di debian e ubuntu).